Jigoro Kano (a destra) all'età di dieci anni.
Jigoro Kano (a destra) all'età di dieci anni.

Per tutta la sua storia iniziale, il Giappone fu profondamente influenzato da quell’antica superpotenza che era la Cina. L’influenza cinese arrivò in Giappone tramite il Buddhismo e le discipline filosofiche del Confucianesimo, del Taoismo, dello Zen, dell’arte, della medicina e del sistema di scrittura.

Solo nel 1542, con l’arrivo dei marinai portoghesi (e delle loro armi da fuoco), si assistette ad una superficiale influenza europea sul Giappone.

Unicamente il Cristianesimo riuscì ad attecchire in maniera preponderante, tanto da costringere lo Shogun a chiudere i porti ai contatti con l’esterno, causando, però, un’improvvisa cessazione di vantaggiose influenze dall’estero.

Tuttavia, verso la metà del XIX secolo l’auto-isolamento venne messo in discussione.

L’Inghilterra, la Francia e gli Stati Uniti cominciarono a esercitare forti pressioni sul Giappone affinché riaprisse i suoi porti al commercio internazionale. Questa richiesta divise il paese in due fazioni antagoniste: una formata da coloro che erano fedeli allo Shogun Tokugawa, e che volevano mantenere l’isolamento, e una formata dalle forze della restaurazione, che sosteneva la riapertura dei porti al commercio estero e peroravano il ritorno dell’Imperatore come governante supremo del Giappone.

Dopo anni di controversie le forze dello Shogun subirono la sconfitta finale, e l’autorità suprema dell’Imperatore fu ripristinata nel 1868, anno che segna l’inizio del regno Meiji e l’avvio ufficiale della storia moderna del Giappone.

Fu nel bel mezzo di questa riorganizzazione della società giapponese che nacque Jigoro Kano.

Jigoro Kano nacque il 28 ottobre del 1860 a Mikage, un villaggio situato in un’area che oggi fa parte della città di Kobe. Tecnicamente ereditò il cognome dal padre ma, in realtà, il nome Kano gli era stato trasmesso dai suoi antenati materni.

La madre di Jigoro, Sadako, era la figlia di un noto produttore di sakè che non aveva avuto alcun figlio maschio e Jirosaku (padre di Jigoro) accettò, prima delle nozze, di diventare figlio adottivo della famiglia Kano.

Ancora in tenera età, Jigoro venne iscritto ad una scuola non ufficiale, presso il tempio buddhista del posto, in modo da poter apprendere la matematica di base e la lingua giapponese. Ciò fu dovuto al fatto che Jirosaku credeva fermamente nell’importanza di una solida istruzione e, a quel tempo, una cittadinanza istruita era considerata un prerequisito fondamentale nel processo di modernizzazione del Giappone.

Nel 1869, quando Jigoro aveva solo nove anni, Sadako si ammalò e morì. La morte improvvisa della madre fece cadere su di lui un velo di tristezza e segnò l’inizio di otto anni di stenti. La mutata condizione famigliare spinse, nel 1870, Jirosaku a mandare il figlio in una scuola di Tokyo dove avrebbe potuto ricevere l’istruzione necessaria per superare le sfide della vita.

A Tokyo, Jigoro frequentò una scuola privata dove, considerato uno studente promettente, venne invitato, da un docente, ad intraprendere lo studio delle scienze. Jirosaku prese in considerazione tale suggerimento e, poiché a quel tempo si pensava che le scienze appartenessero al mondo della conoscenza occidentale e che, quindi, fossero associate alle lingue europee, decise di far imparare l’inglese al figlio. Fu così che, quando nel 1873 venne aperto a Tokyo un collegio privato con insegnanti europei (dove tutti i corsi erano tenuti in lingua inglese o in lingua tedesca), Jigoro, dietro consenso del padre, prese a frequentare lezioni in lingua straniera.

Il primo giorno di lezioni, però, i compagni di stanza gli chiesero di presentarsi e, mentre lui si inchinava a fondo pronunciando nervosamente il suo nome, lo ricoprirono di insulti e ingiurie; in quel momento capì che sarebbe stato trattato con disprezzo.

Nonostante la vita nel collegio fosse triste e difficile egli riuscì comunque a dedicarsi appieno agli studi, tanto da fare progressi ammirevoli e costanti. La fama di studente modello e le alte valutazioni non rendevano, però, la vita facile al giovane Jigoro che veniva spesso molestato sia dai compagni di corso che dagli studenti più avanzati. La situazione non migliorò quando, nel 1875 si iscrisse, dopo aver passato un anno alla Scuola di Lingue Straniere, all’istituto Kaisei. I suoi compagni venivano da ogni parte del paese e si riunivano assieme per formare gruppi separati tra di loro che spesso erano contraddistinti da rivalità e inimicizie. Sfortunatamente per Jigoro, gli studenti più giovani venivano spesso insultati e maltrattati proprio come accadeva al collegio.

A quel tempo Baisei Nakai, ex membro della scorta dello Shogun, visitava spesso la casa dei Kano e un giorno si trovò a parlare casualmente del jujutsu, asserendo che si trattava di un eccellente metodo di allenamento fisico e, contestualmente, diede a Jigoro una breve dimostrazione di alcune tecniche.

Fu una vera e propria rivelazione per Jigoro che chiese subito al signor Nakai di insegnarglielo. La risposta, però, fu tutt’altro che incoraggiante. Nakai, sbalordito dal fatto che un giovane così promettente fosse interessato da una disciplina così antiquata, considerò folle tale richiesta sostenendo fermamente che lo studio del jujutsu sarebbe stato, per Jigoro, un’inutile perdita di tempo. L’entusiasmo del giovane fu seriamente smorzato da queste parole, tuttavia gli sembrò stupido non perseguire il suo obiettivo. A tal fine cercò di ricordarsi di qualcuno che potesse aver parlato di jujitsu e, poco dopo, gli vennero in mente due persone: Ryuji Katagiri e Genshiro Imai. Li andò a visitare entrambi e li pregò di insegnargli, ma tutti e due rifiutarono. Questo ennesimo rifiuto fu profondamente scoraggiante ma, di contro, la carriera scolastica andava a gonfie vele. Tuttavia restava sempre più minuto e più debole della maggior parte dei suoi compagni e tali caratteristiche lo rendevano un bersaglio costante per insulti e molestie. A quel tempo le scuole, in Giappone, offrivano poche attività sportive e Jigoro non aveva nessuna opportunità per potenziare il proprio fisico. Eppure desiderava con tutto se stesso trovare un modo per sopperire alle sue debolezze e, perciò, andò da suo padre per chiedergli se poteva cominciare ad imparare il jujutsu. Jirosaku, rimasto indifferente alle suppliche del figlio, gli rispose: “L’epoca dei samurai è finita. Scegliti uno sport moderno se vuoi mantenere in forma il tuo corpo!”. Ma Jigoro, seppur deluso, non perse la sua determinazione, anzi: “Non ho bisogno dell’aiuto di mio padre!”, disse tra sé e sé, “Mi troverò un Maestro da solo!”.

Nel 1877, all’età di diciassette anni, Jigoro si iscrisse come studente di letteratura alla prestigiosa Università Imperiale. Fu in questo periodo che cominciò a perlustrare le strade di Tokyo alla ricerca di un osteopata visto che aveva capito, in qualche modo, che un certo numero di vecchi Maestri di jujutsu, ritiratisi dall’insegnamento, si erano dati alla pratica dell’osteopatia. Ogni volta che ne trovava uno entrava nel suo studio e gli chiedeva se poteva insegnargli il jujutsu ma, purtroppo, veniva sistematicamente mandato via. Un giorno, mentre passeggiava, notò un’insegna che si trovava lungo una, stretta, strada secondaria. Jigoro decise di visitare anche quell’osteopata e, una volta entrato nello studio, si trovò di fronte un uomo tarchiato con i capelli grigi.

“Il mio nome è Kano.”, balbettò il ragazzo, “Date, per caso, lezioni di jujutsu?”. L’anziano rispose con tono serio: “Jujutsu? Perché me lo chiedi?”. Jigoro gli disse che era un ragazzo fisicamente debole e che voleva imparare il jujutsu per diventare forte. Ascoltata la risposta l’uomo disse: “Sono Teinosuke Yagi della scuola Tenshin Shinyo. Mi piacerebbe insegnare di nuovo il jujutsu ma non posso. Forse il Maestro Fukuda sarebbe disposto ad insegnarti. Tutti i Maestri di jujutsu con cui mi sono allenato hanno smesso di insegnare ad eccezione del Maestro Fukuda. Scriverò per te una lettera di presentazione!”. Quando Jigoro uscì dal vecchio palazzo non stava più nella pelle per la felicità.

Anche il Maestro Fukuda era un osteopata. La stanza principale del suo studio medico era dotata di un tatami piuttosto grande; quella era la scuola in cui Jigoro avrebbe incominciato il suo addestramento nel jujutsu.

L’iniziazione di Jigoro al mondo del jujutsu segnò la seconda pietra miliare nella sua vita; fin da quando si era trasferito a Tokyo, sette anni prima, si era concentrato quasi esclusivamente sui suoi studi.

Il Maestro Fukuda era un esperto di Tenshin Shinyo jujutsu, uno stile basato sulla combinazione tra lo stile Yoshin e lo stile Shinno Shindo, e insegnava, principalmente, katame-waza (tecniche di controllo). A quel tempo solo sette studenti partecipavano regolarmente alle lezioni e, di questi, solo due erano studenti avanzati. Jigoro trovava l’allenamento estremamente faticoso e, spesso, doloroso.

Ogni mattina si svegliava con il corpo indolenzito, ma sopportava il dolore senza battere ciglio e si allenava tutti i giorni senza prendersi mai un momento di svago. Oltre ad imparare e praticare i kata (forme costituite da diverse serie di tecniche prestabilite) si impegnava anche nel randori (una sorta di combattimento libero). L’avversario più impegnativo per lui era un ragazzo di nome Kanekichi Fukushima. Per quanto cercasse in tutti i modi di sopraffare l’avversario, Jigoro non riusciva mai a far cadere a terra il robusto Kanekichi. Senza perdersi d’animo, andò alla biblioteca pubblica di Yushima e lì prese in prestito tutti i libri che riuscì a trovare sugli stili di lotta praticati in Occidente, con la speranza di scoprire qualche tecnica che potesse essergli utile. Studiò ogni libro senza, però, trovare nulla. Fu sull’ultima pagina dell’ultimo libro che riuscì a trovare una tecnica di lotta che sembrava poter avere una qualche efficacia. “Questa tecnica potrebbe funzionare!”, pensò tra sé e sé. La studiò a fondo e decise di chiamarla kata-guruma (ruota sulle spalle). Alla lezione successiva Jigoro praticò la nuova tecnica con alcuni compagni: era pronto! Sfidò Kanekichi che si gettò subito, con foga, su di lui spingendolo all’indietro. Sfruttando tale impeto, Jigoro sollevò l’avversario sopra le sue spalle e lo scaraventò per aria. L’intero dojo tremò quando Kanekichi crollò sul tappeto.

Era l’anno 1879 e il Presidente degli Stati Uniti, Ulysses Grant, stava per visitare il Giappone. Per l’occasione un famoso politico dell’era Meiji, Eiichi Shibusawa, pensò che il Presidente avrebbe trovato di suo gradimento un’esibizione di arti marziali e, pertanto, contattò il Maestro Fukuda che, a sua volta, convocò Jigoro.

Il 5 agosto il Maestro Fukuda e il suo gruppo di esperti si trasferirono nella casa estiva di Shibusawa dove, in un giardino, era stato allestito un dojo temporaneo e dove, davanti ad un ampio sipario rosso e bianco, sedeva il Presidente Grant con il suo entourage. A dimostrazione finita Grant espresse un grande interesse verso il jujutsu facendo fare dal suo interprete una lunga serie di domande su ciò che avevano visto. In seguito il Maestro Fukuda parlò con Jigoro rivelandogli un sogno: “Gli uomini della mia generazione sono riusciti a mantenere viva quest’arte marziale in Giappone … se solo dei giovani uomini riuscissero a farla conoscere al resto del mondo …”.

Nove giorni dopo l’esibizione il Maestro ebbe un collasso e morì. Con la morte di Fukuda si presentò la necessità di eleggere un successore che fosse in grado di assumere il controllo del dojo. La vedova del Maestro convocò Jigoro per dirgli che il marito le aveva confidato, in segreto, che era suo desiderio che fosse lui a diventare il suo successore e, contestualmente, pregò Jigoro di accettare quell’onore.

Ovviamente egli accettò e, poco tempo dopo, ricevette formalmente i densho (gli scritti segreti che spiegavano le tecniche insegnate nel dojo) assumendo, pertanto, il ruolo di Sensei.

L’esperienza di essere promosso da novizio a Maestro, in un così breve lasso di tempo, accentuò enormemente in Jigoro il desiderio di raggiungere un alto grado di maestria nel jujutsu ma si rese conto che gli mancava quella fiducia totale nelle proprie capacità. Doveva approfondire i suoi studi e, quindi, aveva bisogno di trovarsi un nuovo Maestro. Si ricordò, allora, del Maestro Iso, che si era esibito assieme al Maestro Fukuda davanti al Presidente americano, e decise di fargli visita.

Il Maestro Iso, esperto di Tenshin Shinyo jujitsu, che insegnava principalmente i kata e l’arte degli atemi-waza (l’attacco dei punti vulnerabili presenti sul corpo dell’avversario), fu felice di prendere Jigoro come suo allievo e gli chiese di fargli da assistente nel dojo. Questa situazione finì per imporgli un programma di esercizi fisici estremamente estenuante.

Nel 1880, Hikosuke Tozuka e il figlio Ichimon, si presentarono all’Università di Tokyo per dare una dimostrazione di jujutsu dello stile Yoshin. Hikosuke aveva intenzione di convertire al suo stile il maggior numero di praticanti. Il giorno dell’esibizione la sala conferenze dell’Università era gremita di studenti. Una voce possente risuonò nella sala: “Ora assisteremo ad una dimostrazione dello stile Yoshin di jujutsu. Hikosuke Tozuka e i suoi allievi si esibiranno nell’esecuzione di un kata e del randori”.

Gli studenti che assistevano allo spettacolo erano profondamente impressionati ma accadde un imprevisto. Un giovane si avvicinò al centro della sala e parlò brevemente con il presentatore che, dopo averlo ascoltato, andò a riferire il messaggio al Maestro Tozuka, indicandogli il ragazzo che si era fatto avanti. Il Maestro rivolse lo sguardo al giovane facendogli un segno di saluto con il capo e il ragazzo, dopo aver mostrato un largo sorriso, trotterellò via dal centro della sala. Si ripresentò qualche minuto dopo con addosso una divisa da allenamento per partecipare alla dimostrazione di randori. Tutti si accorsero subito della sua velocità e del suo perfetto equilibrio. “Quello è Jigoro Kano!”, urlò uno di loro. Tutto ad un tratto gli spettatori si misero a fare il tifo per lui.

Una volta terminata la dimostrazione di randori gli atleti, e gli spettatori, uscirono lentamente dalla sala. “Kano … ho saputo che hai partecipato alla dimostrazione di randori con Ichimon Tozuka”, era l’amico Ryusaku Godai. “È tremendamente bravo!”, disse Jigoro. “Forse. Ma non stai insegnando lo stile Tenshin Shinyo? E non hai forse ricevuto gli insegnamenti segreti di tutte le tecniche insegnate al dojo del Maestro Fukuda? Mi stai dicendo che Ichimon è più bravo di te?”, lo incalzava Godai. “Ichimon Tozuka conosce più tecniche per proiettare a terra un avversario e sono tutte migliori delle mie”, gli rispose Jigoro con serenità, poi fece una pausa e aggiunse: “Non ne sono certo. Se la mia unica speranza consiste nell’impegnarmi ad apprendere gli stili del passato, allora il jujutsu rimarrà sempre lo stesso. Tutto il mondo sta cambiando e quindi anche il jujutsu deve cambiare. Non penso sia molto efficace per noi limitarci ad uno stile in particolare. Non vedo più alcun motivo per mantenere segrete le tecniche di ogni scuola di jujutsu. Sarebbe meglio studiare e mettere alla prova un’intera gamma di tecniche per poi selezionare quelle più efficaci in combattimento arrivando persino a modificarle se necessario. Vorrei selezionare le tecniche migliori dello stile Yoshin e quelle di tutti gli altri stili per poi combinarle assieme e cercare la migliore forma possibile di jujutsu. Lo scorso anno, dopo esserci esibiti per il Presidente Grant, il Maestro Fukuda mi disse che era suo desiderio far si che il jujutsu fosse conosciuto in tutto il mondo”.

La realizzazione di questo sogno avrebbe segnato un nuovo punto di inizio nella storia del jujutsu.

Nel giugno del 1881 il Maestro Iso morì; nel giro di qualche anno, la morte gli aveva portato via i suoi due maestri.

Anche se a luglio Jigoro si laureò, l’entusiasmo per la vita accademica iniziò ad affievolirsi a favore di un crescente interesse per il jujutsu ed i suoi segreti. Inoltre, aveva sviluppato una profonda passione per alcune attività sportive appena introdotte in Giappone come il baseball, la corsa, il canottaggio, l’escursionismo e la ginnastica.

Un giorno gli capitò di giocare a baseball, all’Università di Tokyo, con un giovane uomo di nome Masahisa Motoyama, il cui padre era un rispettato Maestro dello stile Kito, e colse l’occasione per persuaderlo a presentargli il padre. “Apprezzo il tuo interessamento per il Kito jujutsu ma non sono più in grado di insegnare”, gli disse il Maestro Motoyama il giorno dell’incontro.

“Maestro, se per voi il randori è troppo faticoso, sarà sufficiente per me apprendere i kata”, gli rispose Jigoro, che non voleva arrendersi e che, per diverse volte, riformulò ed espresse in modo diverso la sua richiesta. Alla fine, il Maestro Motoyama sospirò e disse: “Ecco quello che farò: ti presenterò a Tsunetoshi Iikubo, un mio amico. Ti farò una lettera di presentazione”.

Il Maestro Iikubo era un vero esperto di Kito jujutsu; la sua padronanza dei kata e dei tachi-waza (tecniche di proiezione) era superba.

“Certamente non posso ignorare la lettera di presentazione da parte del Maestro Motoyama”, disse il Maestro Iikubo quando Jigoro gli presentò la sua richiesta, “Nonostante ciò devo avvertirti che lo stile Kito è diverso dagli stili che hai praticato fino ad ora”.

Ci sono molte differenze tra lo stile Tenshin Shinyo e lo stile Kito. Ad esempio, il Tenshin Shinyo possiede un maggior numero di tecniche di strangolamento e di immobilizzazione rispetto al Kito, mentre quest’ultimo ha sempre avuto tecniche di proiezione di maggiore efficacia.

Grazie a ciò, Jigoro, con il passare del tempo, ampliò la sua conoscenza del jujutsu diventando, rapidamente, un vero esperto. Era in grado di padroneggiare molte tecniche efficaci, selezionate da un’ampia varietà di stili diversi.