Il primo straniero ad imparare il Judo fu un inglese di nome Hughes, che entrò a far parte del Kodokan nel 1893. Con il passare del tempo tra gli appassionati del dojo cominciarono ad esserci, anche, studenti americani, coreani, indiani, cinesi, francesi e canadesi.
Dopo aver studiato al Kodokan, molti di questi praticanti tornavano a casa e si mettevano ad insegnare il Judo dando il via ad una tendenza che sarebbe continuata fino ai nostri giorni.
Il Kodokan Judo stava iniziando a superare le sue modeste origini locali, e cominciava ad avere un seguito internazionale.
Jigoro venne spesso contattato da numerosi appassionati di Judo, di altri paesi, che lo supplicavano di mandare istruttori giapponesi per l’insegnamento della disciplina.
Nel 1903 gli arrivò una richiesta dagli Stati Uniti e decise di inviarvi Yoshitsugu Yamashita, uno dei migliori membri del Kodokan.
Prima di arrivare negli Stati Uniti, Yamashita non aveva la benché minima idea su chi sarebbero stati i suoi allievi o su come sarebbero andate le cose; voleva solo insegnare il Judo così come lo aveva imparato da Jigoro. Per iniziare, Yoshitsugu aprì un dojo a Washington e organizzò una dimostrazione per il Presidente Roosevelt che, poco tempo dopo, sarebbe diventato un suo allievo.
Tuttavia, l’avvenimento più famoso che coinvolse Yamashita fu quando si impegnò in una lite con un pugile professionista, a New York, che lo aveva chiamato “insignificante muso giallo”.
Nel giorno prestabilito per l’incontro una numerosa folla si assiepò sugli spalti dell’arena. Al suono della campanella ebbe inizio l’incontro. Yamashita, in men che non si dica, afferrò il pugile per un braccio, fece rotare le anche e proiettò l’avversario a terra con la tecnica hane-goshi (colpo d’anca saltato). Il gigante si rialzò subito e Yoshitsugu lo attaccò di nuovo scaraventandolo per aria con la tecnica morote-seoi-nage (proiezione sulla spalla con l’uso di entrambe le mani). Il pubblico si scatenò e l’incontro ebbe fine. Il coraggioso sforzo di Yamashita, per far conoscere il Judo in un nuovo paese, fu ripagato.
Ma non sempre filò tutto liscio come negli Stati Uniti. In alcuni paesi i dojo di Judo andarono in declino dopo solo uno o, al massimo, due anni.
Consapevole di questa situazione, Jigoro voleva mandare all’estero degli uomini colti e virtuosi, ben addestrati e dotati di una considerevole tolleranza, non solo per insegnare il Judo come arte marziale, ma anche per divulgare lo spirito del Kodokan. A tal fine, volle che i suoi istruttori fossero capaci di parlare le lingue straniere e propose un sistema secondo il quale il denaro guadagnato attraverso l’insegnamento del Judo, nei paesi stranieri, veniva utilizzato, quando non necessario per altri scopi urgenti, per finanziare la formazione di una nuova generazione di istruttori. Alla fine gli sforzi di Jigoro diedero dei buoni risultati.
Nella primavera del 1909, quando Jigoro era ancora il decano dell’Istituto Magistrale di Tokyo, l’ambasciatore francese in Giappone lo andò a trovare a scuola. Aveva l’incarico di procurarsi l’aiuto di Kano per riuscire ad ottenere la partecipazione del Giappone ai prossimi Giochi Olimpici. Jigoro non aveva mai sentito parlare delle Olimpiadi; a quel tempo praticamente nessun giapponese sapeva cosa fossero. L’ambasciatore francese cominciò la sua spiegazione parlandogli innanzitutto di un suo amico, un certo barone Pierre de Coubertin, che aveva dedicato tutto se stesso al ripristino di un evento sportivo che si teneva nell’antica Grecia con il nome di Giochi Olimpici. Jigoro mostrò subito il suo più vivo interesse.
“Al momento il Comitato Olimpico Internazionale non annovera alcun rappresentante asiatico. Il barone mi ha chiesto di proporre un candidato adeguato e le persone che ho contattato mi hanno fatto il vostro nome signor Kano”, disse l’ambasciatore.
“Capisco”, rispose Jigoro mentre chiudeva gli occhi e si appoggiava sullo schienale della sedia. I due continuarono a discutere fino a quando la visita non giunse al termine. Jigoro ringraziò l’ambasciatore e gli promise che avrebbe considerato con estrema attenzione la sua proposta e si prese del tempo per valutarla. Alla fine decise di accettare.
Su specifica richiesta del barone de Coubertin, il Giappone fu invitato a partecipare alle Olimpiadi del 1912 che si sarebbero tenute a Stoccolma, in Svezia.
Tuttavia i nipponici non avevano ancora un Comitato Olimpico Nazionale e Kano sapeva che, senza un comitato del genere, il suo paese non sarebbe stato in grado di partecipare agli imminenti Giochi Olimpici.
Jigoro e i suoi colleghi dovettero assumersi l’incarico di creare una qualche specie di struttura amministrativa per promuovere ed organizzare le attività e gli eventi sportivi. I loro sforzi portarono, nel 1911, alla creazione dell’Associazione Giapponese degli Sport Amatoriali. Il passo successivo fu quello di selezionare gli atleti che avrebbero costituito la prima squadra olimpica del Giappone.
Venne pubblicato un annuncio nei giornali giapponesi che invitava i giovani a partecipare alle selezioni per entrare a far parte della squadra. La notizia attrasse novantadue aspiranti atleti, ma i risultati delle gare ad eliminazione furono deludenti. Solo in due furono nominati come rappresentanti del Giappone.
Inoltre, non tutti erano entusiasti di mandare degli studenti ai Giochi Olimpici. Alcuni consideravano inappropriato permettere a degli alunni di lasciare i loro studi per partecipare ad un evento sportivo. In effetti, in un primo momento il Ministro dell’Istruzione del Giappone si rifiutò di autorizzare la partecipazione degli scolari ai giochi. Solo dopo che Jigoro ebbe personalmente presentato una nuova richiesta il Ministro accettò.
Nel maggio del 1912 i rappresentanti giapponesi, Mishima e Kanaguri, partirono per Stoccolma.
Jigoro Kano lasciò il Giappone qualche giorno dopo ed arrivò in Svezia da solo.
Il 6 luglio 1912 si tenne la cerimonia di apertura dei Giochi Olimpici e la delegazione del Giappone, con Mishima, Kanaguri, l’allenatore Omori e Jigoro Kano, vi partecipò con orgoglio. Malgrado l’esiguità del contingente giapponese, Jigoro sentiva che era un giorno meraviglioso per il Giappone.
Oltre all’importanza dell’evento, in quanto sede del debutto storico del Giappone alle Olimpiadi, i giochi di Stoccolma fornirono a Kano la sua prima opportunità di incontro con il barone Pierre de Coubertin il quale, ringraziato Jigoro per il suo contributo al successo dei giochi, gli chiese di parlargli del Kodokan Judo.
Malgrado avesse più di sessant’anni, Jigoro era ancora dotato di una considerevole dose di energia fisica e così intraprese una serie di viaggi oltremare durante i quali visitò gli istituti scolastici di altri paesi, tenne conferenze sul Judo e partecipò agli incontri del Comitato Olimpico Internazionale.
Dopo quelli di Stoccolma nel 1912, i Giochi si sarebbero dovuti tenere a Berlino nel 1916, ma lo scoppio della Prima Guerra Mondiale ne impedì la realizzazione. Le Olimpiadi ripresero nel 1920 ad Anversa, in Belgio. In quella occasione, i giocatori di tennis della squadra giapponese riuscirono a vincere due medaglie d’argento, le prime medaglie olimpiche ad essere conferite ad atleti giapponesi.
Le Olimpiadi del 1924 si tennero a Parigi ma, per la prima volta da quando era stato nominato membro del Comitato Olimpico Internazionale, Jigoro non poté assistervi, in quanto un’infezione al piede lo aveva costretto a rimanere in Giappone.
Nel 1928 i giochi si tennero ad Amsterdam. Quella volta il Giappone schierò quarantatre atleti olimpici, tra i quali vi era anche la prima atleta donna. Quelle Olimpiadi videro anche la vittoria di due medaglie d’oro da parte della squadra giapponese.
Per le decimi Olimpiadi, che si tennero a Los Angeles nel 1932, il Giappone schierò una squadra con più di centotrenta atleti.
I Giochi Olimpici del 1936, tenuti a Berlino, furono i più affollati e sfarzosi mai avuti prima. Vi parteciparono più di quattromila atleti provenienti da quarantanove paesi diversi, ed il contingente giapponese era costituito da ben centosettantanove atleti, diciassette dei quali erano donne.
L’interesse crescente che girava attorno al mondo delle Olimpiadi spinse il sindaco di Tokyo, nel 1932, a far visita al Kodokan per proporre a Jigoro di portare a Tokyo i Giochi Olimpici del 1940.
Vi erano, però, alcuni problemi da affrontare. Primo tra tutti il fatto che il Giappone si trovava nel bel mezzo di una vera e propria depressione economica e, ancor peggio, il fatto che alcuni reparti dell’esercito s’impegnarono a promuovere l’idea secondo la quale il Giappone avrebbe potuto risolvere tutti i suoi problemi colonizzando la Manciuria. Sembrava che in Giappone l’amore per la guerra avesse soppiantato quello per la pace.
Nel bel mezzo di quel periodo inquieto, Jigoro andò a Los Angeles, nel 1932, per presentare la candidatura di Tokyo come città ospite dei Giochi Olimpici del 1940, malgrado vi fossero già in lizza altre otto città: Roma, Barcellona, Helsinki, Alessandria, Buenos Aires, Rio de Janeiro, Dublino e Toronto.
Nei successivi tre anni la situazione internazionale si andò complicando sempre di più. Il Giappone si era ritirato dalla Società delle Nazioni rimanendo sempre più isolato, anche se aveva sviluppato degli stretti legami con i governi fascisti della Germania e dell’Italia.
Michimasa Soejima, anch’egli membro del Comitato Olimpico Internazionale, s’incontrò con Mussolini e riuscì a convincerlo ad appoggiare, pubblicamente, la candidatura di Tokyo, e del Giappone, come città ospite delle Olimpiadi del 1940 e così l’Italia ritirò, ufficialmente, la sua candidatura.
In un tentativo disperato di assicurare il maggior sostegno possibile alla candidatura di Tokyo, Jigoro fece un ultimo appassionato discorso davanti il Comitato Olimpico Internazionale; era nel comitato da quasi ventisette anni e gli altri membri lo guardavano con rispetto e ammirazione. Il Presidente richiese una votazione finale per decidere ufficialmente la sede dei Giochi Olimpici del 1940, ormai erano rimaste in lizza solo Tokyo e Helsinki. Nella mente di molti fu la popolarità personale di Kano che fece la differenza: trentasette voti a favore di Tokyo, trentasei per Helsinki.
Jigoro tornò subito in Giappone per divulgare la buona notizia.
Il mondo si trovava nuovamente in un percorso che avrebbe portato alla guerra. Nel novembre del 1936 il Giappone e la Germania voltarono le spalle alle democrazie occidentali e stipularono un trattato di mutua difesa; l’Italia si aggregò nel 1937.
In conseguenza di ciò, all’interno del Comitato, l’Inghilterra e la Francia guidarono un movimento per impedire che Tokyo fosse stata la sede dei Giochi Olimpici del 1940. Tuttavia, e ancora una volta, Jigoro sosteneva che le Olimpiadi avrebbero potuto, e dovuto, tenersi a Tokyo. Le immaginava come un evento trionfante che avrebbe riabilitato il nome del Giappone.
Come ultimo, disperato, tentativo di mantenere i giochi a Tokyo, il nuovo Presidente dell’Associazione Giapponese degli Sport Amatoriali chiese a Jigoro di recarsi a Il Cairo, in Egitto, come capo della delegazione giapponese, in occasione dell’incontro del Comitato Olimpico Internazionale del marzo del 1938.
La missione dei delegati era di convincere gli altri membri del Comitato che i preparativi per le Olimpiadi di Tokyo procedevano secondo i piani.
Il 13 febbraio del 1938, Jigoro partì per Il Cairo per quello che sarebbe stato il suo tredicesimo, ed ultimo, viaggio all’estero. Tre settimane dopo arrivò ad Alessandria d’Egitto e l’otto marzo raggiunse Il Cairo.
Quando il Comitato Internazionale Olimpico si riunì per l’incontro Kano si ritrovò circondato da facce familiari ma, nonostante era il membro del Comitato in carica da più tempo (il barone Pierre de Coubertin era morto l’anno precedente), l’opposizione, allo svolgimento dei Giochi Olimpici nella città di Tokyo, fu più forte del previsto. Mentre parlava, gli ascoltatori erano consapevoli che Jigoro Kano non aveva mai ingannato il Comitato o, peggio ancora, abusato della sua fiducia. Molti sentivano che finché Jigoro si fosse personalmente occupato dell’evento i Giochi Olimpici sarebbero stati in mani sicure. Alla fine il Presidente richiese una votazione e la maggioranza dei membri fece quadrato attorno a Jigoro Kano. Il Comitato Olimpico Internazionale confermò la sua decisione precedente e votò a favore di Tokyo. Dopo la votazione, con le lacrime agli occhi, Jigoro strinse la mano a tutti i delegati che si erano accalcati attorno a lui per fargli le congratulazioni.
Dopo il successo della sua missione a Il Cairo, Kano si recò ad Atene per partecipare ad una funzione commemorativa in onore del compianto barone de Coubertin. Dopodichè visitò l’Italia e la Francia prima di lasciare l’Europa per gli Stati Uniti dove avrebbe incontrato altri membri del Comitato Olimpico per chiedere il loro sostegno a favore delle Olimpiadi di Tokyo.
Tuttavia, quando arrivò negli Stati Uniti apparve debole.
Dopo aver incontrato i funzionari olimpici a New York, Jigoro andò a Vancouver (in Canada) dove, il 23 aprile del 1938, salpò, a bordo del transatlantico giapponese Hikawamaru in vista del ritorno a Yokohama che sarebbe dovuto avvenire il 6 maggio.
Mentre l’immensa nave si staccava dalla banchina Jigoro lanciò un ultimo sguardo alle coste nordamericane per poi scendere in coperta.
Prima di arrivare nella sua cabina incontrò il comandante della nave che gli disse: “Signor Kano, lei sembra sfinito!”.
“No, non si preoccupi sto bene”, rispose Jigoro. Tuttavia, una volta entrato nella sua cabina si sdraiò subito sul letto; gli girava la testa e si sentiva febbricitante.
Durante i successivi cinque giorni le sue condizioni di salute peggiorarono. Il 28 aprile, quando il medico di bordo lo visitò, Kano aveva una temperatura corporea di circa 39° e il primo maggio lo stesso medico lo costrinse a letto: aveva contratto la poliomelite.
Il 3 maggio il comandante della nave contattò, via radio, le autorità di Tokyo inviando loro un breve, ma sconfortante, messaggio: “Il signor Kano è affetto da poliomelite. Ha una temperatura corporea di circa 40° e presenta un polso molto debole. Tuttavia è ancora cosciente e vigile”.
Jigoro era sempre stato un combattente, ma la poliomelite era un avversario atrocemente duro da combattere. La febbre persisteva e le sue condizioni continuavano a peggiorare; la fiamma della vita si stava affievolendo sempre di più.
Jigoro all’improvviso cominciò a parlare: “Supponi che gli facciamo scattare alcune foto del kata, … l’incontro direttivo di domani, … ora che è stato deciso, … lasciateli scattare delle fotografie”. Dopodichè rimase in silenzio. Era spirato.
Jigoro Kano morì a bordo della nave alle 05:33 del 4 maggio 1938. Aveva settantasette anni.
Con le sue ultime parole aveva cercato di dire qualcosa riguardo al Judo dopodiché la sua voce tacque per sempre.
Due giorni dopo, una bara coperta con la bandiera olimpica fu portata a terra dalla nave ormeggiata al porto di Yokohama. Al suo funerale parteciparono più di diecimila persone.
Jigoro una volta disse: “Nei momenti che precedono la morte riflettiamo sulla vita e mettiamo a confronto tutto il bene ed il male che abbiamo compiuto. Prima di morire spero che avrò realizzato delle cose buone in questo mondo”.
La morte di Jigoro Kano avvenne subito prima che la situazione internazionale piombasse nel caos più assoluto. La Germania occupò la Cecoslovacchia e l’Austria dando il via a quel conflitto che sarebbe sfociato nella Seconda Guerra Mondiale.
Alla fine, gli ultimi sforzi del Maestro Kano non servirono a nulla: il suo sogno finale non fu mai realizzato. Le Olimpiadi di Tokyo vennero cancellate.
In definitiva, fu, forse, una fortuna che Jigoro non visse abbastanza per vedere una tale ignominia.
Nel 1949 il Kodokan unificò la maggior parte delle varie organizzazioni di Judo, disseminate nel paese, in modo da costituire la Federazione Nazionale di Judo. Nel 1950 il Kodokan Judo venne reintrodotto nelle scuole. Nel 1958 venne edificato un palazzo di sette piani, nel distretto Kasuga (circoscrizione Bunkyo di Tokyo), per ospitare il rinnovato Kodokan. Il nuovo edificio comprendeva degli uffici, delle aule, un dormitorio, una biblioteca, un dojo immenso e sei dojo più piccoli. Due anni dopo, per commemorare il centenario della nascita di Jigoro, la statua in bronzo che lo raffigura (prodotta anni prima in omaggio ai risultati ottenuti nel campo dell’istruzione), venne spostata dall’Università per l’Insegnamento di Tokyo all’entrata del Kodokan.
Possa il suo ricordo vivere per sempre.