A seguito del costante aumento di studenti Jigoro si trovò a dover affrontare un maggior numero d’ore di insegnamento al Kodokan. Allo stesso tempo gli vennero affidate anche delle nuove responsabilità all’istituto Gakushuin.
Nel 1886, il preside dell’istituto, Tateki, lo promosse ad una carica amministrativa ed il preside che gli successe, Ohtori, designò a Jigoro la carica di professore ordinario.
La Gakushuin era stata posta sotto la supervisione amministrativa del Dipartimento per la Famiglia Imperiale, il quale stabilì che i bambini di discendenza nobile frequentassero quell’istituto. Jigoro era nettamente contrario a questo tipo di discriminazione; secondo lui anche i figli dei cittadini comuni avrebbero dovuto avere la possibilità di essere ammessi alla Gakushuin, a patto che fossero degli studenti seri e dotati. Con queste argomentazioni, riuscì a persuadere il signor Ohtori ad ammettere anche i ragazzi che non avevano origini nobili. Strano fu il fatto che, poco tempo dopo, il preside diede le dimissioni ma, per fortuna, Jigoro venne nominato, ad interim, al suo posto.
Più tardi fu designato l’ufficiale dell’esercito Goro Miura come nuovo preside. Egli aveva delle teorie particolari sull’istruzione ed era contrario all’introduzione di nuove idee. Non molto tempo dopo la sua nomina, convocò Jigoro nel suo ufficio per chiedergli se gli sarebbe piaciuto ottenere un permesso col quale andare a studiare all’estero. Tale proposta fu accettata di buon grado e, dopo aver trovato un valido sostituto che potesse assumersi la responsabilità del Kodokan, prenotò il proprio biglietto sul transatlantico Caledonian diretto verso l’Europa: il viaggio sarebbe durato un anno.
La nave approdò prima di tutto in Cina. Dopo una breve sosta a Shanghai, si diresse verso il continente europeo per arrivare in Francia molti giorni dopo.
Jigoro visitò prima Parigi e poi Londra, Stoccolma, Berlino e Amsterdam. Era estremamente interessato ai metodi didattici utilizzati in Europa e, con tale interesse, scrisse molti articoli, sia sui sistemi scolastici statali che su quelli privati.
Il 30 dicembre del 1890 si imbarcò su di una nave che, partendo da Marsiglia, era diretta in Giappone.
Lungo la traversata la nave si fermò in Egitto. Jigoro sbarcò ad Alessandria e da lì si diresse, in treno, verso Il Cairo. Dai finestrini dello scompartimento si potevano scorgere le piramidi. “Che ne dite se andiamo a scalare una piramide?”, propose Jigoro. La maggior parte dei suoi compagni di viaggio, tutti di diverse nazionalità (c’erano un inglese, un francese, un olandese, un austriaco ed uno svizzero) era favorevole alla proposta e, accompagnati da alcune guide locali, s’incamminarono attraverso il deserto decisi a scalare una delle piramidi più alte.
Dopo poco tempo dall’inizio della scalata, le guide cominciarono a lamentarsi sostenendo di essere esauste. Jigoro, allora, raggiunse un accordo con i suoi accompagnatori: avrebbe continuato la scalata con le sue sole forze. Le guide di tutta risposta, sicure che il piccolo Jigoro avrebbe richiesto subito la loro assistenza, si misero a ridere; tuttavia rimasero di stucco quando si accorsero che riuscì a raggiungere la punta della piramide senza alcun aiuto.
Jigoro fu l’unico a scendere dalla piramide da solo, tanto che i suoi accompagnatori lo guardarono con un senso di ammirazione e di timore riverenziale. Con grande sorpresa, egli tirò fuori il suo borsellino e lasciò loro una mancia, anche se non aveva avuto bisogno di assistenza.
Jigoro era di nuovo a bordo della nave che attraversava, lentamente, l’Oceano Indiano. Un giorno si trovava a passeggiare lungo il ponte quando s’imbatté in un gruppo di passeggeri che si erano assembrati per osservare qualcosa. Dopo essersi avvicinato al gruppo riconobbe due uomini con cui aveva scalato la piramide, erano impegnati in una prova di forza contro un muscoloso ufficiale sovietico della marina.
Per quanto si sforzassero, la loro forza combinata non poteva competere con la potenza del russo. Jigoro osservava l’evolversi della situazione accanto ad un altro russo. “Il tuo connazionale è molto forte”, gli disse, “ma io sarei in grado di immobilizzarlo a terra senza lasciargli alcuna via di fuga”. Il mercante, allora, scoppiato in una fragorosa risata, si diresse subito verso l’ufficiale navale per riferirgli ciò che aveva appena sentito.
L’omone lanciò uno sguardo all’esile sfidante e disse: “Va bene piccolo uomo, vieni ad immobilizzarmi!”.
“Il gigante contro lo gnomo!”, urlò qualcuno scatenando una risata generale.
L’ufficiale russo si sdraiò a terra lasciando che Jigoro eseguisse su di lui una presa d’immobilizzazione. Appena uno dei passeggeri diede il segnale il russo cominciò a dimenarsi. Gli spettatori rimasero in silenzio ad osservare l’ufficiale che cercava in tutti i modi di liberarsi da Jigoro; dopo circa un minuto, cercò disperatamente di sfuggire dalla presa, facendo ricorso a tutte le sue forze ed emettendo un gemito di rabbia, ma non vi riuscì. “Va bene. Basta così”, disse Jigoro.
“Adesso tocca a me. Tu ti sdrai ed io ti immobilizzo!”, gli ringhiò contro il russo.
“Per me va bene”, rispose Jigoro, mentre si sdraiava sulla schiena. Il russo allungò le braccia muscolose per immobilizzarlo e uno spettatore diede il segnale d’inizio della sfida. In un battibaleno Jigoro sfuggì alla presa dell’ufficiale, lo fece rotolare sulla schiena, e lo immobilizzò di nuovo a terra. Dopodiché rilasciò la presa e si alzò con tutta calma. “Sebbene io abbia permesso al mio avversario di immobilizzarmi a terra sono comunque riuscito a sfuggirgli”, disse rivolgendosi agli spettatori, “Aspettare che l’avversario impieghi tutta la sua forza nell’esecuzione della presa è un’azione che va contro i principi del Judo”.
“La sua spiegazione ha un senso”, disse uno degli spettatori e la maggior parte dei presenti fu d’accordo con lui.
“Perché non ci dimostra altre tecniche di Judo?”, gli chiese uno spettatore e Jigoro accettò di dimostrare una tecnica di proiezione, ma una soltanto. Così chiese allo svizzero, suo compagno nella scalata alla piramide, di attaccarlo come se fosse un suo avversario e, stando attento alla sua incolumità fisica, lo proiettò a terra con estrema rapidità. “Provala su di me!”, gli disse l’ufficiale russo, che aveva assistito alla dimostrazione. Jigoro sapeva che il russo era ancora pieno di rabbia, e non voleva umiliarlo, tuttavia, non appena si mostrò esitante, l’ufficiale scambiò la sua riluttanza per mancanza di fiducia e gli intimò nuovamente di dimostrare quella tecnica su di lui. “Va bene” disse Jigoro, “Ma deve essere un incontro ad un tempo solo, senza alcun rancore da parte di nessuno dei due”.
“Per me va bene!”, gli rispose il russo e, subito dopo, l’incontro ebbe inizio.
Appena l’ufficiale cercò di effettuare un attacco Jigoro fece un passo in avanti ruotando sulla punta del piede destro, fece scivolare il piede sinistra accanto alla caviglia del russo e, simultaneamente, piegò le braccia. Aveva appena eseguito morote-seoi-nage (proiezione sulla spalla con l’uso di entrambe le mani). L’ufficiale volò per aria e ricadde sul pavimento a qualche metro di distanza.
Gli spettatori rimasero attoniti. Tutti volevano stringere la mano a Jigoro Kano che, una volta che le notizie sull’accaduto si diffusero in tutta la nave, divenne una specie di celebrità.
Il 16 gennaio del 1891 Jigoro fece ritorno in Giappone dal suo primo viaggio studio in Europa e, nello stesso anno, fondò un proprio istituto accademico privato, il Kano Juku, dove iniziò a provvedere all’istruzione dei suoi allievi.
Riprese, inoltre, il suo lavoro di insegnante alla Gakushuin, introducendo alcuni dei metodi didattici che aveva appreso nel continente europeo, ma ben presto, dato che gli venne assegnata una carica dal Ministero dell’Istruzione giapponese, dovette rinunciare al ruolo di docente.
Il giorno dopo le sue nozze (il 7 agosto 1891 sposò Sumako Takezoe) gli venne offerto il posto di preside in una scuola media statale nella lontana città di Kumamoto e, spronato dal suo profondo interesse per l’istruzione dei più giovani, accettò l’offerta.
I giovani studenti della scuola media furono presi dall’entusiasmo quando vennero a sapere che il loro nuovo preside era l’illustre capo del Kodokan Judo.
Jigoro affrontò il suo lungo viaggio in treno in compagnia di uno studente del Kodokan natio di Kumamoto: Soji. Lo aveva portato con sé per farlo combattere con i Maestri di jujutsu della città ospite, che in seguito sarebbero stati, facilmente, sconfitti.
Con la reputazione ottenuta da tali vittorie si spianò il cammino alla fondazione di una filiale del Kodokan nella città di Kumamoto.
Nel frattempo, sotto la supervisione di Jigoro, gli studenti della scuola media mostravano un sempre maggiore entusiasmo nei confronti del Judo e, sebbene le strutture fossero inadeguate, il numero dei praticanti aumentava in maniera costante.
Come educatore Jigoro sosteneva che era fondamentale avere degli insegnanti di prim’ordine per poter educare in modo appropriato gli studenti, e, in quanto preside, fece assumere i migliori insegnanti a disposizione.
Tra gli altri invitò alla sua scuola, come insegnante di inglese, lo scrittore americano Hearn che, fortemente interessato al Judo, una volta disse: “Questa è la vera essenza del Giappone. Il Judo non è solo un sistema di autodifesa, esso incorpora anche elementi di filosofia, di economia e di condotta morale”.
È mirabile il fatto che Jigoro basasse sempre le sue azioni sugli interessi degli studenti. Quando, infatti, il governo avanzò la proposta di chiudere la scuola, per tagliare le spese, egli rimase profondamente indignato e, prima che la proposta venisse accettata, organizzò un referendum per impedire l’attuazione dell’intervento governativo. Inoltre, in pieno contrasto con le linee guida del governo, affermò che c’era bisogno di aumentare il numero delle scuole e richiese, pertanto, la fondazione di un’Università a Kyushu e, dopo aver avuto dei colloqui con i governatori, riuscì ad ottenere l‘approvazione per la progettazione di un nuovo ateneo.
Tuttavia, a gennaio del 1893, Jigoro venne richiamato a Tokyo.
Gli fu richiesto di ritornare al Ministero dell’Istruzione, dove gli venne offerta la carica di capo reparto: i funzionari del Ministero volevano che fosse a capo di un reparto che si occupava dell’analisi e della valutazione dei manuali scolastici e, inoltre, volevano il suo consiglio riguardo l’attuazione di alcune riforme scolastiche estremamente necessarie.
Gli studenti e gli insegnanti della scuola media di Kumamoto rimasero sconcertati dalla notizia e cercarono in tutti i modi di persuadere Jigoro a rimanere lì da loro, tuttavia arrivò il giorno in cui dovette pronunciare il suo discorso d’addio: “Vorrei poter restare a Kumamoto ma il ruolo offertomi al Ministero dell’Istruzione è estremamente importante per me. Mi sento in dovere di accettarlo così da poter essere in grado di migliorare il livello scolastico del nostro paese. Con immenso dispiacere devo chiedervi di lasciarmi partire per Tokyo”.
Nei mesi successivi Jigoro ed il suo gruppo di assistenti si portarono molto avanti con il lavoro, tanto che l’arduo compito di esaminare e di autorizzare i manuali per le scuole del paese era quasi giunto al termine quando gli venne assegnata una nuova carica: preside della scuola media Numero Uno di Tokyo. Fu un impegno che Jigoro accettò di buon grado e così, a giugno del 1893, tornò ad essere nuovamente il preside di una scuola.
Tuttavia era in lizza anche per un'altra carica: decano (direttore) dell’Istituto Magistrale di Tokyo, che in Giappone era considerato il più importante istituto di istruzione superiore nel campo dell’educazione.
Quel posto fu immediatamente liberato, subito dopo che Jigoro ebbe assunto il ruolo di preside alla scuola media Numero Uno, permettendogli così di ricoprire entrambe le cariche simultaneamente (oltre a svolgere anche il ruolo di consulente per il Ministero dell’Istruzione).
In ogni caso, visto che l’Istituto Magistrale di Tokyo provvedeva all’istruzione dei docenti che avrebbero poi insegnato nelle scuole secondarie maschili, Jigoro si dedicava maggiormente alla sua funzione di decano tanto che, alla fine, rinunciò al ruolo di preside della scuola media.